La retribuzione oraria A? un ferro vecchio?
La polemica suscitata dal ministro Poletti esortando a a�?immaginare contratti che non abbiano piA? come misura unica essenziale la��ora di lavoro, che A? un attrezzo vecchioa�? nasce da un equivoco addebitabile alla parola a�?lavoroa�?. Noi diciamo indifferentemente che un facchino lavora, un metalmeccanico lavora, un manager lavora, un artista lavora, uno scienziato lavora come se tutti facessero la stessa cosa. Questo equivoco A? nato nella metA� della��Ottocento a Manchester, la cittA� allora piA? industrializzata del mondo, dove il 94% dei lavoratori erano operai e solo il 6% erano impiegati o professionisti, per cui si usA? un solo termine per indicare sia la��attivitA� di gran lunga maggioritaria, sia ogni altra residua attivitA� retribuita.
In centosettanta anni le cose sono profondamente cambiate: le macchine meccaniche hanno via via sostituito molti operai; le macchine elettroniche hanno via via sostituito molti impiegati; la��intelligenza artificiale sta sostituendo via via molti professionisti e manager. Non solo oggi possiamo produrre molti piA? beni e servizi con molto meno lavoro umano, ma quel lavoro, che prima era quasi tutto manuale, ora A? quasi tutto cerebrale. E mentre gli ingegneri hanno saputo sfornare una gamma impensabile di tecnologie, i sociologi, i giuslavoristi, i linguisti non sono stati capaci di elaborare una gamma parallela di nomi per ativan withdrawal with zoloft chiamare le diverse attivitA� umane condizionate da quelle tecnologie.
Oggi, nei paesi avanzati come il nostro, gli addetti a mansioni assimilabili a quelle del vecchio operaio di Manchester sono appena un terzo di tutta la forza-lavoro, e sono destinati a diminuire ancora. La loro fatica A? prevalentemente muscolare; i loro prodotti, siano essi bulloni fresati o pacchi trasportati o frutti raccolti, sono composti da atomi, non da bit, e possono essere contati: tot prodotti in tot ore. La loro fatica puA? essere misurata in termini di pezzi/ora e puA? essere premiata con il cottimo. Proprio per misurare la loro prestazione, nel 1903 Taylor determinA? la formula della��efficienza per cui E=P/H dove P A? la quantitA� di prodotto e H A? il tempo umano impiegato per produrlo. Queste mansioni, legate a una fabbrica e un luogo preciso, non consentono il telelavoro. Il risultato, piA? che dalla motivazione dei lavoratori, dipende dalla potenza delle macchine usate e dal controllo esercitato dai capi.A� La��orario rappresenta un parametro essenziale e la contrattazione della��orario diventa un diritto sacrosanto del lavoratore. Ea�� per la��orario che sono state condotte lunghe lotte operaie evocate in mitiche canzoni come a�?Se otto ore vi sembran poche, provate voi a lavorara�?. PerciA?, per questa massa operaia pari al 33% di tutti i lavoratori, ha ragione la Camusso: sulla��orario non si scherza.
Un altro terzo della forza lavoro, ancha��esso in rapida diminuzione, svolge mansioni intellettuali di tipo impiegatizio, cioA? esecutivo, standardizzato, ripetitivo. Queste mansioni si prestano a essere controllate in base alla quantitA� delle pratiche svolte in una determinata unitA� di tempo e in base alla qualitA� con cui esse sono svolte: cioA? alla cortesia, alla correttezza, alla puntualitA� della��impiegato. In questo caso il lavoratore non tratta atomi ma bit, cioA? informazioni trasferibili ovunque in tempo reale e dunque adatte a essere telelavorate, cioA? svolte lontano dalla��ufficio. In questi casi occorre organizzare il lavoro a�?per obiettivia�?, affidando cioA? al lavoratore una certa quantitA� di pratiche da sbrigare entro un tempo assegnato, e lasciandogli la libertA� di scegliere dove e come sbrigarle. Il risultato dipenderA� in parte dal controllo esercitato dai capi, in parte dalle capacitA� e dalla motivazione del lavoratore. In questo caso comincia ad avere ragione Poletti quando si chiede: a�?Come si misura la��apporto alla��opera, cioA? al risultato finale?a�?.
La��ultimo terzo dei lavoratori, destinato a crescere nel tempo, svolge attivitA� di tipo intellettuale e creativo. Si tratta di professionisti, studenti, giornalisti, artigiani, artisti, scienziati che non trattano atomi ma trattano bit, non producono bulloni o pratiche ma producono idee. Il cervello del creativo lavora 24 ore su 24. La sua capacitA� ideativa non mantiene ritmi stabili nA� qualitA� costante. Essa non dipende dal controllo dei capi e neppure dalla retribuzione, ma dalla��intelligenza, dalla genialitA�, dalla motivazione, dallo stato da��animo del creativo; perfino dipende dal caso. PerciA? la��attivitA� e la produzione creativa, per loro natura, mal si prestano a essere controllate, a essere valutate in termini quantitativi, a essere retribuite in termini di ore. Invece si prestano benissimo a essere telelavorate. E qui ha perfettamente ragione Poletti quando dice: a�?Se teniamo come riferimento la��ora di lavoro, ci troveremo un freno che blocca la nostra capacitA� di farea�?.
Dunque, la��operaio fatica, la��impiegato lavora, il creativo riflette, scopre, apprende, inventa.
a�?Credo che sia un tema su cui lavorarea�?, ha concluso Poletti. E meglio avrebbe detto: a�?Credo sia top 10 online pharmacies, medicine like prednisone. un tema su cui riflettere, scoprire, apprendere, inventarea�?, perchA� non A? ferro vecchio la retribuzione oraria quanto piuttosto il concetto corrente di lavoro.
Tratto dalla��Agenzia InPiA?
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