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venerdì 5 maggio 2017

La disoccupazione inflessibile

 

 

Ora gli anziani sono al primo posto della classifica

Di trimestre in trimestre i decimali della disoccupazione variano in su o in giA?, provocando ingiustificati compiacimenti o scandalizzati allarmi. Tre mesi fa erano i giovani a occupare il primo posto nella classifica dei disoccupati; ora sono gli anziani. Non piA? i ragazzi che comunque riescono a sopravvivere con lo stipendio dei genitori o con la pensione dei nonni ma gli ultra-cinquantenni che hanno famiglie da mantenere e mutui da pagare. Ma se allunghiamo lo sguardo oltre le statistiche trimestrali, ci accorgiamo che quando anche il lavoro diventa piA? flessibile, tuttavia il trend della disoccupazione resta maledettamente inflessibile. Nel 2001, quando il Governo era di destra (Berlusconi premier e Maroni Ministro del lavoro), la percentuale degli occupati in Italia era del 57,1%. Oggi che il Governo A? di sinistra (Gentiloni premier e Poletti Ministro del lavoro), la percentuale degli occupati A? la stessa: 57,1%. Nel frattempo A? entrata in vigore la legge Biagi, sono stati istituiti e tolti i voucher, A? stato ridotto il cuneo fiscale, A? stato abolito la��articolo 18, A? stata azzerata la��Irap. Il solo Jobs Act A? costato 20 miliardi. Ormai siamo il Paese europeo con maggiore flessibilitA� contrattuale nel settore privato e con crescente flessibilitA� nel settore pubblico. Il costo del lavoro A? diminuito, attestandosi intorno alla media europea. Ma la disoccupazione resta inchiodata al 12 per cento.

Tutto A? stato tentato, tranne ciA? che la matematica rende lampante: la ridistribuzione del lavoro. Diamo uno sguardo ai dati. Nel 1891 gli italiani, che erano meno di 40 milioni, lavorarono per un complesso di 70 miliardi di ore. Cento anni dopo, nel 1991, ormai diventati 57 milioni, lavorarono 60 miliardi di ore ma produssero 13 volte di piA?. Lo scorso anno, diventati 61 milioni, hanno lavorato 44 miliardi di ore e hanno prodotto 20 volte di piA?. Questa A? la produttivitA�: piA? beni free-viagra-sample-pack, buy kamagra uk paypal. e piA? servizi con meno lavoro umano, grazie al progresso tecnologico e alla globalizzazione. Si da il caso che questi trend continueranno e, anzi, accelereranno nei prossimi anni: la popolazione crescerA�, crescerA� la produzione ma il lavoro diminuirA�. Jobless growth, sviluppo senza lavoro, lo chiamano gli anglofoni. I nostri vicini di casa a�� Francia e Germania a�� hanno affrontato il problema con il sano realismo necessario ogni qualvolta un dividendo diminuisce e un divisore aumenta. Secondo i dati Ocse, un francese lavora mediamente 1.482 ore la��anno; un tedesco ne lavora 1.371. Un italiano, invece, ne lavora 1.725, cioA? 243 ore piA? del collega francese e 354 ore meno del collega tedesco. Questo contribuisce a spiegare perchA� la disoccupazione in Germania A? al 4%, in Francia A? al 9% e in Italia A? al 12%.

Se i 23 milioni di occupati italiani lavorassero con lo stesso orario dei francesi, potremmo occupare 4,4 milioni in piA?; se lavorassero con lo stesso orario dei tedeschi, potremmo occupare 6,6 milioni in piA?. In altri termini, potremmo dare finalmente un lavoro ai tre milioni di italiani disoccupati e potremmo offrirlo anche a milioni di immigrati giovani, compensando cosA� la��invecchiamento della nostra popolazione. Resta da chiarire un altro apparente paradosso: come mai, lavorando di meno, i tedeschi producono annualmente un Pil pro-capite di 48.000 dollari e i francesi ne producono uno di 43.000 dollari mentre gli italiani non superano i 36.000 dollari? Nei primi anni del Novecento, Henry Ford capA� che la sua impresa industriale poteva incrementare la produttivitA� riducendo la��orario di lavoro. Introdusse perciA? le 8 ore cui noi, dopo cento anni, siamo tuttora inchiodati. A quanto pare, la��intuizione di Ford vale anche oggi per il lavoro postindustriale: oltre un certo limite fisiologico, piA? si lavora e meno si produce. PurchA� vita e lavoro siano bene organizzati come in Germania.
(tratto dall’agenzia InPiA?)