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martedì 20 ottobre 2015

A proposito del linciaggio dei manager di Air France

 

 

 

Le immagini del direttore e del capo del personale di Air France che sfuggono seminudi alla��ira dei dipendenti hanno fatto il giro del mondo e resteranno impresse nel nostro ricordo come icone della conflittualitA� aziendale in tempo di crisi globale.
Il sociologo del Tavistock R.E. Walton, che ai conflitti di lavoro ha dedicato il saggio Theory of Social Conflict in Lateral Organizational Relationships, scrive: a�?L’avvicinamento maggiore alla guerra civile che la nostra nazione si permette, avviene nella violenza o nella minaccia di violenza che compare di tanto in tanto nel campo delle relazioni industrialia�?. Ma poi osserva che a�?probabilmente l’opinione corrente piA? diffusa, condivisa anche da psichiatri, esperti di relazioni umane, sacerdoti e filosofi, A? che la cooperazione A? relativamente positiva e che il conflitto A? relativamente negativoa�?.
Anche nel caso della��Air France la grande maggioranza dei media, e gli stessi sindacati, si sono affrettati a condannare la violenza dei dimostranti. Ma la questione A? piA? complessa perchA� vede contrapposta la violenza di due manager picchiati alla violenza di 2.900 lavoratori licenziati.In effetti la storia del lavoro vede contrapposte tre posizioni diverse nei confronti del conflitto.

Conflitto come patologia. La prima posizione, ampiamente condivisa dagli imprenditori tradizionali, dalle forze dell’ordine, dagli schieramenti conservatori dalla Confindustria, puA? essere ricondotta al taylorismo e alle Human Relations da una parte, alla��enciclica Rerum Novarum dalla��altra. Questa posizione valuta il conflitto come una malattia sociale, una��eccezione sempre dannosa per il sistema aziendale e, come tale, va prevenuto, evitato, circoscritto ed estirpato, mentre la pace sociale A? la regola, la normalitA�. Inoltre, il conflitto A? un’eccezione mentre la pace sociale A? la regola. Chi provoca il conflitto A? sempre un facinoroso, un disturbato, un deviante, mentre la massa dei lavoratori e dei datori di lavoro persegue l’armonia e la pace.
Per Leone XIII questa pace sociale A? assicurata dalla��ordine pubblico e dalla caritA� evangelica. Alludendo ai sindacalisti, il vecchio Papa scrive: a�?Imbevuti di massime false e smaniosi di novitA�, cercano a ogni costo di eccitare tumulti e sospingere gli altri alla violenza. Intervenga dunque l’autoritA� dello Stato e, posto freno ai sobillatori, preservi i buoni operai dal pericolo della seduzione, e i legittimi padroni da quello dello spogliamentoa�?.
Il taylorismo e, in genere, lo Scientific Management, considerano anch’essi il conflitto come una patologia ma all’appello morale e all’impiego dell’autoritA� statale preferiscono come rimedio l’intervento organizzativo. Scrive Taylor: a�?L’organizzazione scientifica del lavoro significherA�, per i datori di lavoro e per i prestatori d’opera che l’adotteranno, e specialmente per quelli che lo faranno per primi, l’eliminazione di quasi tutte le cause di urto e di disaccordoa�?.
Con gli stessi intenti pacificatori nascono piA? tardi le Human Relations e le ricerche di Elton Mayo che affidano la risoluzione della conflittualitA� non tanto all’organizzazione scientifica dei tempi e dei metodi, quanto all’organizzazione scientifica dei gruppi di lavoro: l’uomo giusto nella squadra giusta, la partecipazione, le motivazioni, la catarsi psicologica.
a�?A Filadelfia a�� scriverA� Mayo a�� avevamo avuto la fortuna di trovare come presidente della Compagnia un colonnello dell’esercito che non temeva di lanciarsi in esperimenti decisivia�� Egli ritenne opportuno affidare agli operai stessi il controllo dei loro intervalli di riposo, ottenendo in cambio un pronto e spontaneo attaccamento a lui personalmente e alla Compagnia. Anche nella fabbrica di Hawthorne avemmo la stessa fortunaa�?.
Del resto anche oggi, come ha scritto Walton, a�?probabilmente l’opinione corrente piA? diffusa, condivisa anche da psichiatri, esperti di relazioni umane, sacerdoti e filosofi, A? che la cooperazione A? relativamente positiva e che il conflitto A? relativamente negativoa�?.

Conflitto come normalitA�. Alla seconda posizione teorica, che potremmo definire socialdemocratica, si rifanno gli imprenditori e i manager progressisti e riformisti come Adriano Olivetti. Essi considerano il conflitto come una connotazione imprescindibile, una caratteristica strutturale dell’azienda, del lavoro organizzato e dell’intera societA�. Spetta allo Stato super partes di regolarne i limiti. a�?La struttura di potere delle aziende industriali a�� scrive Ralf Dahrendorf a�� A? la sorgente piA? generale di tutti i conflitti industriali e aziendali. PoichA� questa struttura di potere non A? eliminabile, darA� sempre luogo a conflittia�� Il conflitto puA? venire eliminato solo temporaneamente, e solo attraverso mutamenti strutturali… I fattori psicologici costituiscono un elemento secondario dei conflitti e non giA� la loro causa. La societA� A? un processo; il suo ordine risiede unicamente nella legalitA� del suo cambiamentoa�?. Il problema, dunque, non A? come eliminare il conflitto a�� il che sarebbe impossibile a�� ma come gestirlo e come valorizzarne la carica vitale.
Anche alcuni epigoni delle Human Relations come McGregor e Argyris
abbandonano le posizioni di Mayo e rivalutano la conflittualitA� come fonte di attivazione dinamica dell’azienda. Intanto si diffonde la teoria dei sistemi per la quale la conflittualitA� si sdrammatizza definitivamente e viene incamerata nel meccanismo stesso dell’organizzazione come molla propulsiva, stimolo alla concorrenzialitA�, accelerazione dei processi di trasformazione. Dunque il conflitto non solo non A? dannoso, ma A? addirittura funzionale, indispensabile e tonificante per l’organizzazione del lavoro purchA� non degeneri fino al punto da minacciare la sopravvivenza del sistema in cui esso agisce. Per evitare un simile esito letale, occorre che le parti in causa rispettino le regole del gioco
che un potere super partes a�� lo Stato a�� impone e garantisce.

Conflitto come necessitA�. La terza posizione parte anch’essa dal presupposto che il conflitto sia connaturale alla struttura dell’organizzazione capitalistica del lavoro. Ritiene, perA?, che non esista un’autoritA� super partes capace di garantire il rispetto di regole neutrali perchA� lo Stato A?, per definizione, comitato d’affari di una delle parti in conflitto: i datori di lavoro.
Il conflitto, dunque, A? positivo non giA� nella misura in cui resta imbrigliato nelle regole del gioco borghese, bensA� nella misura in cui riesce a travalicare queste regole e ad assumere una carica rivoluzionaria, una violenza di classe capace di far saltare 1′attuale sistema e di sostituirlo con un sistema nuovo, senza classi e, quindi, senza conflitti. Ricalcando l’incitamento ottocentesco di Marx, Mao Tse-Tung ripete: a�?Lotta di classe a�� alcune classi trionfano, altre vengono eliminate. Questa A? la storia, questa A? da millenni la storia della civiltA�… Abbandonate le illusioni, preparatevi alla lottaa�?.
In altri termini, questa terza posizione somiglia alla seconda ne1 valutare positivamente la conflittualitA� e somiglia alla prima nel ritenere possibile un mondo senza conflitti. Solo che, per Leone XIII, per Taylor, per Mayo le condizioni della pace sociale esistono giA� nel capitalismo borghese; per Marx, per Engels, per Lenin, per Mao ci potranno essere solo dopo il piA? violento e definitivo dei conflitti: la rivoluzione proletaria condotta attraverso la lotta di classe.
Tratto dalla��Agenzia InPiA?

 

 

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